Colpiscono i dati diffusi oggi dall’Istat relativamente alle molestie e ai ricatti subiti sul posto di lavoro, ben 1 milione 404 mila vittime. Di queste, dice l’Istat, l’80% ha preferito tacere e quasi tutte hanno evitato la denuncia alle forze dell’ordine. Dati in linea con quanto avviene presso gli sportelli mobbing e stalking della Uil, dove sono circa mille le donne che chiedono aiuto ogni anno. Soprattutto in provincia, dove tutti si conoscono ed entrare in una caserma, in un commissariato o in un Centro, significa rendersi riconoscibile. La sede sindacale le fa sentire più protette e tutelate. Commercio, pubblica amministrazione e turismo rappresentano i settori più a rischio, dove le donne non solo sono molestate ma anche ricattate dal datore di lavoro che, in caso di rifiuto, tende ad incrementare il carico lavorativo arretrato, modificare i turni o richiedere orari impossibili. Anche chi si rivolge ai nostri sportelli, appare sempre molto restio alla denuncia: hanno paura di perdere il lavoro e, ancor di più, di non essere credute dai famigliari. Il timore più frequente è che il proprio compagno possa pensare che lei abbia assunto atteggiamenti provocatori tali da indurre l’altro a provarci. Una mentalità fortemente maschilista che va cambiata. La Uil è impegnata e attiva su più fronti. Attraverso i propri sportelli cerca di accompagnare gradualmente la donna alla denuncia, anche se non si tratta di un percorso semplice. Le prove infatti sono tutte a carico della lavoratrice che deve dimostrare di aver effettivamente subito molestie e ricatti, anche attraverso sms, chat e messaggi. Poi si cerca di studiare insieme una strategia ad personam: a volte si opta per le dimissioni garantendo le massime tutele per la lavoratrice, altre e quando è possibile per il trasferimento in altra sede. Ma pensiamo che si debba agire soprattutto sulla prevenzione e per farlo non c’è altra strada che la cultura. Da quella delle scuole, a quella comune, alla giurisprudenza. Se oltre un quarto delle denunce non prosegue, significa che c’è qualcosa che non va anche nel sistema giudiziario. Non nelle leggi, ma nella loro applicazione. E’ anche da qui che bisogna partire per svecchiare un sistema che continua purtroppo a rivelarsi fallace e poco tutelante per le donne.