Estate appena finita e tempo di bilanci. Al di là dell’affluenza turistica che, almeno nelle città d’arte, sembra aver mantenuto le percentuali dello scorso anno, emergono una serie di problematicità che non fanno decollare il settore come ci si aspetterebbe nella Capitale d’Italia e nella nostra regione. Problematiche legate soprattutto ad un’occupazione caratterizzata da forte precarietà e un incremento del lavoro irregolare che nel Lazio è cresciuto del 32,6% nell’ultimo quinquennio (34 mila unità in più), contro un aumento nazionale pari al 19,9% (185 mila unità in più). I dati Inps indicano che sono 165 mila i lavoratori del settore turistico-ricettivo nel Lazio, un valore pari al 10,2% del totale nazionale (1,6 milioni di unità), cui vanno aggiunti gli oltre 60 mila addetti del settore che prestano lavoro completamente in nero (si tratta di una parte dei 137 mila occupati non regolari stimati dall’Istat nella regione, a fronte di 1,1 milioni in Italia). Questo quanto emerge dal dossier elaborato dalla Uil del Lazio e dall’Eures relativamente all’occupazione nel settore turistico nella nostra regione.

All’interno del territorio metropolitano di Roma circa tre lavoratori su dieci hanno un contratto precario (circa 40 mila unità), percentuale che raggiunge il 34% nel Lazio (56 mila occupati) e che si attesta al 50,8% su scala nazionale, dove la quota di lavoratori “instabili” risulta pressoché sovrapponibile a quella degli occupati stabilmente inseriti nel settore. Su scala regionale l’occupazione in ambito turistico-ricettivo registra il livello massimo nel mese di giugno, con un numero di dipendenti pari a 130,4 mila unità, un valore che eccede del 7,4% il dato medio calcolato sull’intero anno, mentre il livello minimo a febbraio quando i lavoratori contrattualizzati raggiungono le 111,9 mila unità nel Lazio (95,5 mila nell’area metropolitana di Roma). Complessivamente, dunque, tra il mese di bassa e quello di alta stagione si registra una differenza media dell’occupazione pari a 18,5 mila unità nel Lazio e a quasi 11 mila unità nell’area metropolitana di Roma. Risultati parzialmente differenti si osservano invece su scala nazionale, dove il maggiore incremento del numero di lavoratori inseriti nel sistema si osserva nei 4 mesi estivi, e in particolare a luglio e ad agosto (con quasi 1,3 milioni di lavoratori contrattualizzati).

Nel mese di gennaio quindi si contano a Roma 15 mila dipendenti a termine (18 mila nel Lazio) contro i 26,2 mila di luglio (38 mila nel Lazio). Dipendenti che nell’ultimo anno hanno visto diminuire il proprio stipendio, probabilmente a causa di un aumento della precarizzazione del settore. Il 54% degli occupati, ovvero 4 lavoratori su cinque, percepisce stipendi inferiori ai 10 mila euro annui. Ciò significa che percepiscono meno di mille euro al mese. Il 18% del totale guadagna tra i 10 e 15 mila euro, soltanto il 5,5% ha una retribuzione compresa tra 25 e 40 mila euro, mentre l’1% supera i 40 mila. “Parliamo di vero e proprio lavoro povero – commenta il segretario generale della Uil del Lazio, Alberto Civica – retribuzioni annue inferiori ai 10 mila euro non possono essere considerati stipendi poiché non garantiscono nemmeno la sopravvivenza. Non è un caso che nella nostra regione ci sia stato nell’ultimo quinquennio un forte aumento (+31%) delle persone che vivono in condizioni di povertà. Sappiamo che purtroppo non si tratta soltanto di cittadini senza occupazione o in cassa integrazione ma anche di lavoratori con stipendi inferiori ai 700 euro al mese”.

Valori questi che non si discostano significativamente dall’importo previsto per i beneficiari del reddito di cittadinanza, che per una famiglia monocomponente con affitto a carico si attesta a 780 euro (raggiungendo il valore massimo di 1.180 euro per una famiglia di 4 persone sempre in locazione), con il rischio dunque di disincentivare la ricerca di un lavoro in questo settore o, comunque, di incoraggiare indirettamente nuove forme di lavoro sommerso. Se consideriamo infatti che un’elevata percentuale di lavoratori percepisce circa 500 euro al mese, l’erogazione del reddito di cittadinanza consentirebbe loro addirittura di ottenere introiti mensili quasi doppi rispetto a quelli da lavoro, rendendo paradossalmente meno vantaggiosa la permanenza nel mercato del lavoro “regolare”. “Il problema non è il reddito di cittadinanza – chiarisce Civica – che come sostegno ai più bisognosi è una forma corretta e in linea con gli altri Paesi europei, quanto invece le retribuzioni povere e l’instabilità dei contratti. E’ su queste voci che bisognerebbe agire. Occorre aumentare le retribuzioni e fare applicare correttamente i contrari sottoscritti con le organizzazioni sindacali confederali. Oltre che su controlli severi e costanti, in grado di disincentivare realmente il ricorso al lavoro nero o irregolare che nel settore del turismo è tra i più diffusi. Basti pensare al personale di molti stabilimenti balneari del litorale laziale, ma anche e ancor di più a moltissimi alberghi, bed and breakfast e strutture ricettive varie della Capitale dove il ricorso al nero o al lavoro irregolare è purtroppo molto frequente”.