Sono stati convocati per domani in Regione i lavoratori del Cara di Castelnuovo di Porto, che hanno improvvisamente perso il posto di lavoro dopo lo sgombero del Cara avvenuto in meno di 72 ore senza alcun preavviso ai sindacati e alle cooperative. Si tratta di 120 dipendenti che, dopo anni di lavoro, hanno appreso la notizia dalla stampa e sperano adesso in una ricollocazione. Per 13 di loro, addetti alla ristorazione, sembra ci possano essere possibilità a breve. Per gli altri 107 c’è un tavolo aperto con il Ministero dello Sviluppo Economico ma al momento l’unica alternativa sembra essere l’attivazione del FIS per sei mesi. Una situazione di precarietà che ha generato sconforto, disagi e per molti vere e proprie emergenze economiche. Uno dei lavoratori infatti ha 60 anni e non può accedere ancora alla pensione, ne’ spera in una ricollocazione. In alcuni casi marito e moglie erano entrambi dipendenti del Cara e hanno visto così azzerato il proprio budget famigliare. Qualcuno è in attesa del primo figlio e teme per il proprio futuro. Questo quanto denunciato dalla Uil del Lazio che sta seguendo attentamente la vicenda insieme alla Uil FPL, chiedendo una modifica normativa a livello nazionale che preveda l’utilizzo della cassa integrazione in deroga e una ricollocazione di questi lavoratori.

“Prima gli italiani, dice Salvini. Ma primi ad andare a casa, intendeva probabilmente – commenta sarcastico il segretario generale della UIL del Lazio Alberto Civica – il disprezzo verso l’altro, la bramosia di attuare quanto previsto dal decreto sicurezza sono tali da non aver fatto i conti con le varie realtà di un posto. La messa in fuga del migrante è stata persino superiore alla salvaguardia dei lavoratori italiani, che in questo centro erano riusciti a creare un luogo di integrazione e di scambio”. Di scambio parla Maddalena, insegnante di italiano presso il Cara da cinque anni. “Il mio lavoro era una forma di arricchimento reciproco – dice- io insegnavo loro la nostra lingua, primo vero accesso a una vita dignitosa, e loro mi davano tanto. In termini di storie, di racconti, di umanità. E anche di soddisfazioni. Perché vedere dei ragazzi riuscire a completare il percorso di studi, prendere il diploma era per me una soddisfazione enorme”. Racconta di un rapporto fatto di rispetto reciproco ma anche di qualche confidenza. Come il ragazzo egiziano scappato dal proprio Paese per aver disertato il servizio militare o la giovane nigeriana fuggita dal mondo della prostituzione. Ma anche tantissime donne vittime di tratta che avevano cominciato ad aprirsi con gli psicologi del Cara. Pochissime di loro frequentavano le lezioni, ma erano riuscite a superare la diffidenza e la paura e a fidarsi. “Abbiamo inviato ai nuovi centri la documentazione completa di ognuno di loro – raccontano gli operatori – speriamo possano proseguire i percorsi intrapresi”.

C’è sconforto nei loro racconti. “Avevamo regolari contratti  – dicono – lo Stato ci ha prima dato e poi tolto il lavoro. E senza alcuna chiarezza, senza comunicazioni. È questo che fa ancora più male. Nessuno ci ha considerati. Inoltre – proseguono – è crollato tutto il sistema, il processo di integrazione che avevamo messo su”. Al Cara di Castelnuovo non ci sono mai stati problemi particolari ci tengono a sottolineare. “C’era un rapporto positivo con gli abitanti del paese e a volte venivano anche alcuni bambini a trovare gli amichetti che vivevano qui con le famiglie”. Erano 16 i minori ospitati presso la struttura, tutti in età scolare e tutti regolarmente frequentanti. E anche a loro non è stata data la possibilità di salutare i compagni.  “Quanto accaduto non è degno di un Paese civile – dice senza mezzi termini Civica – è stato completamente azzerato il rispetto verso la vita altrui, sia essa di nazionalità straniera o italiana. Ci sono soltanto l’egoismo e l’arroganza di voler attuare promesse da campagna elettorale. In questo gioco al massacro ci stiamo rimettendo tutti. Il Paese è in recessione, non si fanno investimenti, si cancellano posti di lavoro anziché cercare soluzioni al problema occupazionale, si cerca volutamente lo scontro per non affrontare le reali emergenze. Cui prodest? All’Italia e agli italiani, che tanto dicono di rappresentare, sicuramente no”.