Aumenta sempre più il divario tra uomo e donna sui posti di lavoro. Se la pandemia ha penalizzato l’intero universo economico e produttivo, a farne le spese sono state ancora una volta soprattutto le lavoratrici che hanno visto retrocedere le proprie posizioni e il proprio stipendio rispetto al periodo pre-pandemico. Nel 2020 nel Lazio la retribuzione media delle lavoratrici del settore privato si è infatti attestata a 17.247 euro, con un calo del 6,7% rispetto all’anno precedente (quando era pari a 18.492 euro), a fronte dei 23.701 euro percepiti in media dagli uomini (tra i quali la flessione è stata del 5,6%). Allo stesso modo la retribuzione media di una donna è scesa al 72,8% di quella di un uomo, arretrando di quasi un punto rispetto al 2019 (quando tale rapporto si attestava nel Lazio al 73,7%). Ciò vale anche per la Pubblica Amministrazione: nel 2020, infatti, il valore medio delle retribuzioni lorde femminili risulta pari al 73,9% di quello maschile (rispettivamente 29.749 e 40.315 euro), regredendo in questo caso di quasi quattro punti percentuali rispetto al 2019 (quando era pari al 77,6%). Questo quanto emerge da un dossier della UIL del Lazio e dell’Eures in merito alla questione di genere.
Il gap risulta, nel settore privato, proporzionale all’aumentare dell’età: se infatti nel Lazio, tra gli under29, la retribuzione media femminile è pari all’80,8% di quella maschile, il valore scende al 77,4% nella fascia “30-39 anni”, al 74,6% nella fascia “40-49 anni”, fino a toccare il valore minimo del 66,1% tra gli over60enni. Inversa è la situazione nella Pubblica Amministrazione, con il gap più ampio nella fascia “30-39 anni” (dove la retribuzione media femminile è pari al 75,9% di quella maschile). Differenze che caratterizzano anche le rispettive carriere: nel Lazio, nel settore privato, i lavoratori maschi che ricoprono posizioni apicali (dirigenti o quadri) sono il doppio rispetto alle colleghe: 56 mila (6,6 ogni 100 occupati), a fronte di 27,5 mila donne (4,3 ogni 100). E anche a parità di livello, le retribuzioni femminili risultano in media inferiori a quelle maschili: le dirigenti, infatti, arrivano a percepire compensi pari al 75% di quelli dei colleghi uomini, scendendo tale rapporto al 70% tra gli impiegati ed al valore minimo tra gli operai, dove si attesta sul 57,5%.
“Una disuguaglianza che va avanti da decenni purtroppo – commenta il segretario generale della Uil Lazio, Alberto Civica – e che negli ultimissimi anni è ulteriormente precipitata, complice anche la pandemia che è andata a impattare soprattutto sull’occupazione femminile, anche per via del maggior ricorso al part time, spesso unica via d’uscita per riuscire a conciliare lavoro e famiglia. Basti pensare ai periodi di lockdown o ai tanti mesi di dad per i ragazzi, che necessitavano specialmente i più piccoli dell’aiuto costante degli adulti”. La diffusione del part time infatti occupa un ruolo non secondario nella differenza retributiva: nel 2020, infatti, nel settore privato, le lavoratrici “a orario ridotto” rappresentano nel Lazio il 46,2% del totale, a fronte del 20,2% degli uomini (31,3% il valore complessivo); si tratta di una condizione che, secondo una recente indagine Istat, è imposta nel 64,6% dei casi dal datore di lavoro e soltanto secondariamente richiesta dal lavoratore. E anche in termini occupazionali la pandemia ha colpito maggiormente la componente femminile del mercato del lavoro: nel 2020 infatti nel Lazio si registra uno scarto di 16,5 punti percentuali tra l’indice di occupazione femminile e quello maschile (rispettivamente 52,1% e 68,6%). Tale “svantaggio” occupazionale deriva soprattutto dal settore privato, dove nel 2020 le donne rappresentano il 42,6% degli occupati totali contro il 57,4% degli uomini. Tra i dipendenti pubblici, invece, la presenza femminile nel Lazio arriva di fatto ad uguagliare quella maschile, con quasi 217 mila lavoratrici e 221 mila lavoratori (rispettivamente 49,5% e 50,5%), pur con differenze molto significative tra i diversi comparti: la presenza femminile, infatti, è ampiamente maggioritaria nella scuola (82% del totale ), e nella sanità (65,1), scendendo invece ad “appena” il 10,9% nelle forze armate.
Nonostante le maggiori difficoltà di inserimento lavorativo, le donne però continuano ad ottenere risultati migliori degli uomini nell’intero percorso di studio, risultando maggioritarie tra gli iscritti alle università del Lazio (53,3% contro il 46,7% degli uomini; 126 mila contro 99 mila), in continuità con gli indirizzi di studio delle scuole superiori dove 3 ragazze su 4 seguono studi liceali (che aprono la strada all’università), contro il 50% dei coetanei maschi. Oltre ad essere più numerose, le studentesse universitarie del Lazio ottengono anche risultati migliori, laureandosi mediamente prima dei colleghi uomini (il 59,6% si laurea in corso, contro il 53,9% dei maschi), con medie migliori (26,8/30 contro 26,2/30) e con punteggi di laurea più elevati (in media 105,3/110 a fronte di 103,5/110 degli uomini). Anche nel Comune di Roma, che, con quasi 25 mila dipendenti, rappresenta l’ente territoriale di “dimensioni” più significative, l’accesso alle qualifiche dirigenziali risulta appannaggio dei lavoratori di sesso maschile: tra gli uomini si contano infatti 15 dirigenti ogni 1.000 dipendenti contro un valore pari ad appena 4 tra le donne. Meno sbilanciato invece il divario di genere registrato nell’amministrazione della Regione Lazio, dove si contano 50 dirigenti uomini ogni 1.000 lavoratori contro 35 dirigenti donne.
“Anche se – conclude Civica – il lavoro femminile è invece ancora sostanzialmente destinato a mansioni impiegatizie (con il 96% delle dipendenti del Comune ed il 73,5% nella Regione Lazio), mentre è sempre agli uomini che viene data maggiore possibilità di carriera e questo ovviamente è un gap da risolvere al più presto con una maggiore attenzione alla questione femminile non solo in alcune giornate. Continuiamo a ribadire da anni che una parificazione di part e full time, una maggiore elasticità degli orari di lavoro, soprattutto laddove questo è più fattibile, e un investimento concreto sui servizi aiuterebbe non poco. In attesa almeno di una società meno maschilista dove uomini e donne possano realmente suddividere i propri compiti, in ambito lavorativo come in quello sociale e famigliare, perché, sembra banale ribadirlo, ma la cura dei figli e degli affetti non è e non deve essere appannaggio delle donne, come nella maggior parte dei casi ancora avviene”.