Sono circa 880 mila le persone sole nel Lazio (8,5 milioni in Italia), di cui 390 mila uomini e 490 mila donne. Di questi, il 43,7%, ovvero 390 mila in valori assoluti, ha un’età superiore ai 65 anni, mentre circa 300 mila hanno un’età compresa tra i 45 e i 64 anni (il 33,9% del totale). I più giovani (meno di 45 anni) sono circa 200 mila, pari al 22,4% del totale. Questo emerge da uno studio della Uil del Lazio e dell’Eures in merito alle famiglie monocomponente nella nostra regione in questo periodo di emergenza sanitaria, in cui le persone sole, e in particolare gli anziani soli, rappresentano la parte più fragile della società.
“Gli ultimi episodi di cronaca purtroppo ci confermano tale fragilità – commenta il segretario generale della Uil del Lazio, Alberto Civica – gli stessi vigili del fuoco nei giorni scorsi hanno lanciato un allarme relativamente alle persone anziane decedute nelle proprie case senza alcuna assistenza, ne’ parenti. Stiamo vivendo una situazione che è drammatica per tutti, ma che per chi vive da solo rischia di diventare una vera ecatombe. Spesso non si ha nemmeno la forza o la lucidità di chiedere aiuto, di chiamare i sanitari e tutto precipita rovinosamente. Bisogna assolutamente agire affinché vi sia una protezione sociale soprattutto dei più deboli. E non solo dal punto di vista sanitario, ma anche per quanto riguarda le truffe di cui gli anziani e le persone sole sono più spesso vittime. Basti pensare ai finti operatori sanitari a domicilio, ai venditori di mascherine, a chi finge di distribuire buoni spesa porta a porta. Emergenze che si potrebbero arginare attraverso magari un censimento degli 880 mila “single” e un monitoraggio quotidiano soprattutto delle categorie più a rischio”. Dal report emerge che mentre tra i giovani le persone sole sono in prevalenza uomini (nel Lazio quasi 125 mila unità a fronte di circa 75 mila donne) e nella fascia 45-64 anni le due componenti si equivalgono (152 mila uomini e 146 mila donne nel Lazio), tra gli anziani invece si segnala una marcata prevalenza femminile, probabilmente dovuta alla loro maggiore aspettativa di vita: nel Lazio le over65enni che vivono da sole sono 273 mila, ovvero oltre il doppio dei 112 mila uomini censiti. Risultato che trova riscontro anche su scala nazionale: quasi 3 milioni le anziane sole a fronte di circa 1,1 milioni di uomini. Rapportando le persone sole alla popolazione complessiva, emerge come il 17,9% dei residenti nel Lazio viva da solo (16,6% per gli uomini e 19,1% per le donne). Il confronto relativo all’ultimo quinquennio mostra complessivamente un incremento del numero di famiglie monocomponente, pari nel Lazio al +4,6% (circa 40 mila unità in più in valori assoluti), determinato soprattutto dalla fascia 45 – 64 anni e dagli anziani (+11%; +38 mila unità), mentre si osserva una consistente riduzione tra i giovani (-18,3%; -44 mila unità in valori assoluti), attribuibile alle difficoltà di inserimento occupazionale e, soprattutto, al ridotto ammontare delle retribuzioni, che non consente ai lavoratori più giovani piena autonomia in termini economici e reddituali.
Al problema anagrafico e alla solitudine si aggiunge spesso un problema economico non sottovalutabile: circa una famiglia monocomponente su 5 (45 mila unità in termini assoluti) infatti si trova in una situazione di deprivazione materiale (mostra, cioè, almeno 3 segnali di “disagio” su un elenco di 9 indicatori quali non potere affrontare spese impreviste, avere pagamenti arretrati di mutui, affitti e/o bollette, non potersi permettere un pasto adeguato ogni 2 giorni, non potere riscaldare l’abitazione) e uno su 10 (90 mila unità nel Lazio) conferma invece una situazione di deprivazione “grave” (con almeno 4 sintomi su 9). Considerando anche il rischio di esclusione sociale, nel Lazio il numero di individui soli che versano in condizioni di difficoltà raggiungerebbe le 265 mila unità (di cui oltre 150 mila nella Capitale).
“Da ciò deriva la necessità di un forte e tempestivo intervento delle istituzioni regionali e comunali – conclude Civica- Non si può delegare sempre tutto al volontariato che sta svolgendo, tra l’altro, un compito arduo e meritorio, ma bisogna avviare un’azione di conoscenza delle loro condizioni e dei loro bisogni, cui far seguire una risposta mirata ed efficace. Spesso, purtroppo, la morte degli anziani collegata al coronavirus è considerata una fatalità, implicitamente associata a un evento di minor valore sociale. Ma non è così. E bisogna pertanto fare in modo che ovunque, nelle RSA e nei presidi sanitari, così come nelle abitazioni private, nelle grandi aree urbane così come nei piccoli comuni, ci si faccia carico della salute, della tutela e delle esigenze materiali e sociali dei più deboli, tanto più se soli, e quindi bisognosi di una più incisiva risposta sociale, destinando a tale obiettivo ingenti investimenti e adeguate risorse umane e materiali”.